Tekster: Lucio Battisti. Almeno L'Inizio.
Alla fine ti trovasti in un bel posto
e li capisti perche t'erano stati chiesti
gli occhi in prestito. Per il loro particolare colore,
fai tu quale, che ora e l'iride delle finestre.
Alla fine ti fu chiaro perche quel gran parlare
della tua bella conchiglia auricolare;
e quel solleticare. Eccoli i padiglioni,
i disimpegni, la chiocciola i vestiboli ecco la stanza.
E tu entrasti perche c'era tutto
e tutto a oltranza i tuoi comportamenti e le reazioni,
le tue belle presenze e gli abbandoni,
le carezze in cambio delle tue carezze,
e le scontrosita, le irritazioni.
C'era anche qualcuno che ti diceva "E tardi
dobbiamo andare". E tu dicevi "No, io voglio ancora,
ancora io mi voglio mi voglio rivedere
e se non tutta, almeno l'inizio".
Che cosa avresti fatto per sentirti un po' piu sola
e per dolcemente navigare
sul dorso o sul tuo petto,
e fare una capriola
che ribaltasse il cielo.
Li c'eran tutti predisposti i baci
asciutti e meno e tutti i desideri,
e le istintive applicazioni di te
eran montate ad arte accanto al tuo profilo,
vicino ad ogni tua parte. E tu dicevi "Ancora un altro poco
e se non tutto almeno un po' d'inizio".
Fare si puo fare ed anche disfare,
ma e un'impalcatura.
Dipende da chi sopra ci sale.
E tu dicevi "Ancora un poco,
e se non tutto, e se non tutto
almeno l'inizio".
E tu, una volta su
osservi la tua stanza.
Tu, la tua, nella quale,
oltre il disfare e il fare,
si delineano cose
appena appena verosimili.
Con ciliege passeggere e grappoli appannati,
d'uve segrete e nere dalle pelli boriose e fini,
perche tu, che ti senti alle volte una mandria
possa indire turchini selvaggi festini.
Con curvi cieli estivi che scendono
come coperchi su te che bollivi.
Con i freschi provvisori che soffiano
sotto i cuscini e tu li assalivi
con gli abbracci e le guance
giaciute con l'equatore
perche di te, gia cibata,
non e di calore che hai bisogno
ma di un orgoglioso refrigerio.
e li capisti perche t'erano stati chiesti
gli occhi in prestito. Per il loro particolare colore,
fai tu quale, che ora e l'iride delle finestre.
Alla fine ti fu chiaro perche quel gran parlare
della tua bella conchiglia auricolare;
e quel solleticare. Eccoli i padiglioni,
i disimpegni, la chiocciola i vestiboli ecco la stanza.
E tu entrasti perche c'era tutto
e tutto a oltranza i tuoi comportamenti e le reazioni,
le tue belle presenze e gli abbandoni,
le carezze in cambio delle tue carezze,
e le scontrosita, le irritazioni.
C'era anche qualcuno che ti diceva "E tardi
dobbiamo andare". E tu dicevi "No, io voglio ancora,
ancora io mi voglio mi voglio rivedere
e se non tutta, almeno l'inizio".
Che cosa avresti fatto per sentirti un po' piu sola
e per dolcemente navigare
sul dorso o sul tuo petto,
e fare una capriola
che ribaltasse il cielo.
Li c'eran tutti predisposti i baci
asciutti e meno e tutti i desideri,
e le istintive applicazioni di te
eran montate ad arte accanto al tuo profilo,
vicino ad ogni tua parte. E tu dicevi "Ancora un altro poco
e se non tutto almeno un po' d'inizio".
Fare si puo fare ed anche disfare,
ma e un'impalcatura.
Dipende da chi sopra ci sale.
E tu dicevi "Ancora un poco,
e se non tutto, e se non tutto
almeno l'inizio".
E tu, una volta su
osservi la tua stanza.
Tu, la tua, nella quale,
oltre il disfare e il fare,
si delineano cose
appena appena verosimili.
Con ciliege passeggere e grappoli appannati,
d'uve segrete e nere dalle pelli boriose e fini,
perche tu, che ti senti alle volte una mandria
possa indire turchini selvaggi festini.
Con curvi cieli estivi che scendono
come coperchi su te che bollivi.
Con i freschi provvisori che soffiano
sotto i cuscini e tu li assalivi
con gli abbracci e le guance
giaciute con l'equatore
perche di te, gia cibata,
non e di calore che hai bisogno
ma di un orgoglioso refrigerio.
Lucio Battisti
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